Cultura e società

American Pizza Mania

Quando la globalizzazione si mangia anche la pizza

Martina Roncadi | 27.06.2024 | 3 minuti

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“Da circa vent’anni vi è stato un proliferare continuo di pizzerie negli Stati Uniti, risultato di quella che viene definita foodification, la “sindrome” che ha colpito gli spazi delle città, una volta deputati al lavoro, e che oggi appartengono alla ristorazione”

Pepperoni Pizza

Ci sono poche cose nella cultura di massa che uniscono come la pizza. Da sempre riconosciuta come il comfort food per eccellenza in Italia, le sue origini risalgono al 997 – prima volta in cui comparve il termine su carta – ma solo molti secoli dopo si verrà a conoscenza di quelle che, oggi, consideriamo i capisaldi dell’italianità: la pizza marinara, e la pizza margherita, rispettivamente nel 1734 e 1889.

Attorno alla pizza, in Italia, ruota una sorta di sacralità scandita dai ritmi della socialità: il sabato sera, davanti a una partita di calcio. In occasione di compleanni, feste, aperitivi tra amici. Come spuntino pomeridiano, a passeggio, e mille altri modi ancora. La pizza si può mangiare in qualsiasi momento e contesto, e questo grazie anche alle diverse proposte che è possibile trovare sul mercato. Dalla più morbida e famosa pizza napoletana, alla scrocchiarella romana. C’è che la preferisce alta, chi sottile. La si mangia tonda, al taglio, a portafoglio, tirata. Qualsiasi di queste pizze fa impazzire gli italiani, ma ad una condizione: purchè sia di casa nostra.

Cosa succede, però, se inizia a prendere piede la pizza americana in tutto il mondo?

Da circa vent’anni vi è stato un proliferare continuo di pizzerie negli Stati Uniti, risultato di quella che viene definita foodification, la “sindrome” che ha colpito gli spazi delle città, una volta deputati al lavoro, e che oggi appartengono alla ristorazione. Ovunque si vada, non sarà difficile imbattersi in qualche nuova apertura che fino a qualche tempo prima non c’era. Per non parlare della cultura del cibo che ha colpito i mass media e i social: dalla televisione al cinema, il cibo è diventato il protagonista di molte storie da raccontare. E la globalizzazione ha fatto il resto, rendendo la pizza commestibile anche dall’altra parte del mondo.

Ma pare proprio che sia il continente americano ad essere diventato, a tutti gli effetti, la “nuova capitale della pizza”, sia per varietà che per qualità delle proposte introdotte sul mercato.

Lasciamo a voi il dubbio di giudicare se, effettivamente, le pizze Made in USA saranno in grado di “scalzare” la nostra pizza napoletana, dichiarata dall’UNESCO, Patrimonio immateriale dell’umanità.

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Vi proponiamo alcuni esempi di diverse tipologie di pizza, sia per impasto e condimenti, che per forma e, soprattutto, cultura:

 

Pizza napoletana:

Come già anticipato, dal 2017, la pizza napoletana è stata dichiarata Patrimonio immateriale dell’umanità dall’UNESCO, e deve il suo nome proprio alla città di Napoli. Morbida, elastica e dal sapore genuino, viene cotta nel forno a legna. La tradizione vuole che vi siano solo due varianti: Marinara, a base di pomodoro, olio, aglio e origano, e Margherita, condita con pomodoro, Mozzarella di Bufala Campana DOP, olio e basilico. È per eccellenza la pizza degli italiani – e non solo.

 

Pizza Chicago Style:

Pizza burrosa e dai bordi altissimi, la Pizza Chicago Style – più comunemente conosciuta come Deep-dish pizza – è originaria della città di Chicago, ed è considerata da tutti il vero cavallo di. Attaglia della cucina del Midwest. Ripiena di pomodoro, formaggio e salsiccia, viene cotta in teglia per circa una quarantina di minuti, e può ricordare quella che noi chiamiamo torta rustica. È una pizza unica nel suo genere, diventata iconica nel mondo a partire dagli anni Quaranta, quando un calciatore propose la ricetta al proprietario di una nota pizzeria di Chicago, Uno. Nonostante i detrattori, continua a essere una grande attrazione culinaria per i turisti che visitano la città.

 

Pizza romana:

Impasto decisamente più croccante rispetto alla napoletana, le differenze principali stanno nella lievitazione e nell’idratazione, che le conferiscono una consistenza più friabile. Sottile, leggera e leggermente crispy, molti la preferiscono alla napoletana perché più leggera. Imperdibile la tradizionale ai fiori di zucca.

Pizza Margherita

Pizza pepperoni:

È la pizza più diffusa negli Stati Uniti, una sorta di evergreen culinario che mette d’accordo tutti. A base di pomodoro, formaggio e pepperoni – un salame americano che è l’equivalente del “nostro” salame piccante – è un vero e proprio guilty pleasure di grassi e gusto. Negli Stati Uniti è consuetudine consumarla rotonda, o a fette. Un cibo emblematico, che ora è possibile trovare davvero in ogni parte del mondo.

 

New York Style Pizza:

Pizza tipica della città di New York, la sua particolarità sta nell’essere servita a spicchi giganti. Sottile e con la crosta croccante, è a base di pomodoro e ricoperta da un’ingente quantità di formaggio filante. È in assoluto la pizza più culturalmente famosa – basti pensare ai numerosi film e serie tv in cui è presente, da La febbre del sabato sera a Friends. Impossibile resistere!

Deep-dish pizza

Pizza Detroit Style:

Pizza in teglia dalla forma rettangolare, è farcita da mozzarella e brick cheese – un formaggio originario del Winsconsin che si caramellizza e crea una sorta di crosta croccante – e dal sopracitato pepperoni. Alta e soffice, ha fatto cambiare idea anche ai più scettici.

 

Pizza hawaiana:

Originaria del Canada, ma estremamente diffusa in Australia, la pizza hawaiana è in assoluto una delle più discusse al mondo a causa di un ingrediente decisamente divisivo: l’ananas. La base si compone di pomodoro, formaggio, a cui vengono aggiunti prosciutto e ananas, per l’appunto. Pare essere graditissima ai palati internazionali. Un po’ meno in Italia dopo che, provocatoriamente, Gino Sorbillo ha deciso di inserirla nel suo menu – non senza essere sommerso di critiche!

Pizza hawaiana

Martina Roncadi

Laureata in Scienze della Comunicazione, ha seguito diversi corsi di specializzazione alla Scuola Holden di Torino tra cui “Food – Design dell’esperienza gastronomica”, grazie al quale si è accesa la miccia per la scrittura nel panorama enogastronomico. Amante dei viaggi, della buona tavola e della musica indie, il suo segno zodiacale è Ariete. Si consiglia pertanto di non farla arrabbiare. Fanatica dello sport, è campionessa olimpica di junk food e di coccole al suo gatto, Giorgio.